IL GIN - Parte 2
(Questo articolo é una continuazione dell’articolo precedente “il gin parte 1”, per leggere la prima parte clicca qui.)
Il vuoto lasciato dai prodotti francesi venne ben presto colmato dal genever e dal distillato di cereali, abbondanti sul territorio inglese, il gin (nome derivato dalla contrazione della pronuncia inglese della parola genever che si rendeva con “giniva”). Nel 1690 grazie al “distilling act” ogni inglese poteva distillare alcool da cereali, creando così un ulteriore giro di affari per i contadini che per far fronte alle pesanti tasse imposte dalla corona si misero a vendere gin autoprodotti sfruttando l’eccedenza di cereali coltivati.
Iniziò così una diffusione del gin anche negli strati sociali più bassi e solo 4 anni più tardi, nel 1694, questa diffusione fu ulteriormente spinta dal “tonnage act”, che introdusse tasse maggiori in base al peso specifico degli alcolici caricato sulle navi, ed essendo il gin più leggero della birra si innescò una parabola di consumo sempre crescente che ebbe il suo apice con l’arrivo al trono nel 1702 della regina Anna, meglio conosciuta come “Brandy Nan” per via della sua debolezza nei confronti della bevanda con cui allungava i suoi tè.
La regina Anna promosse ed incoraggiò la produzione di distillati, togliendo di fatto il monopolio alla Worshipful company che si sforzava di dettare dei parametri di produzione che ben presto si resero vani in quanto in ogni città inglese si poteva distillare, garantendo così fiumi di gin per tutto il paese.
La situazione degenerò ben presto e per un popolo abituato a bere bevande fermentate come birra o idromele, a basso tenore alcolico, l’effetto del gin sulle persone fu paragonabile a quello delle moderne droghe dei giorni nostri. Londra e l’inghilterra erano ormai nell’oblio, le morti cominciarono a superare le nascite e la richiesta di leggi per arginare il fenomeno arrivò solo dopo che la “gin craze” era dilagata, uccidendo donne e bambini e facendo perdere forza lavoro per via del continuo stato di ubriachezza degli uomini.
Proprio la debolezza da parte delle donne nei confronti del gin portò il parlamento inglese a promuovere 8 leggi in sequenza, note come “Gin Acts” nel tentativo di arginare la produzione e l’assunzione di gin.
Ci vollero comunque 28 anni, dal primo gin act del 1729 e i successivi fino al 1757, affinchè la gin craze fu arginata e la situazione poté tornare alla normalità.
Decenni più tardi si arrivò all’apertura del primo PUB, diminutivo di Public House, ovvero case private aperte al pubblico, dove si servivano birre, ma ben presto il governo fu costretto a stabilire degli standard igienico sanitari date le pessime condizioni in cui queste case vertevano, con la conseguenza che le case dovevano essere riviste, ristrutturate e rese più “vivibili”, con costi spesso insostenibili da parte dei privati che volevano aprire il loro PUB. A loro vennero incontro i birrifici, che si offrivano per accollarsi i costi delle ristrutturazioni a fronte della stipula di un contratto in cui si sanciva l’obbligo, per quel pub, di servire la loro birra; nacquero così i “PUB LEGATI” o tied pub.
Le tasse sulla distillazione e produzione di gin tornarono a livello accessibili per tutti tanto da permettere anche ai privati di tornare a distillare, aprendo le loro case come locali in cui si somministravano anche drink miscelati, i cosiddetti “GIN PALACE”. Una delle differenze più notevoli coi pub era data dall’ambiente delle case, rese volutamente più eleganti e raffinate, adatte ad un pubblico più elitario di quello dei pub.
Si arrivò a contare, nel 1840, oltre 5000 gin palace solo a Londra. È anche l’inizio del periodo di diffusione del cosiddetto london dry gin, nato grazie all’avvento del distillatore continuo a colonna “Coffey” che permetteva di creare distillati più puri nei quali non era necessario aggiungere zucchero per coprire i cattivi sentori di distillazioni meno nobili ed accurate, inoltre anche i botanicals divennero protagonisti per le caratteristiche organolettiche che donavano al gin anziché per coprire cattivi odori derivati da alcoli poco raffinati e purificati.
Il gin visse un periodo di grande diffusione anche in quei paesi dove i distillati a base di vino erano forti, a causa dell’arrivo della fillossera nel 1863 che distrusse gran parte dei vigneti d’Europa, primo su tutti l’America, dove stava prendendo piede la moderna miscelazione ed il periodo che oggi conosciamo come “Golden age of Cocktails”.
Arriviamo fino agli anni 50 del secolo scorso, sorvolando il proibizionismo di cui parleremo nei prossimi articoli, dove il DRY MARTINI ed il GIN TONIC la fanno da padroni nei locali, creando un fenomeno che per quasi vent’anni mise il gin nell’olimpo del bere miscelato.
L’arrivo della vodka e del processo di modernizzazione portarono a velocità di preparazione cui il gin non era preparato, la soda gun, i premix e le macchine del ghiaccio automatiche, fecero del gin un articolo considerato vintage, che si scontrava col processo di modernizzazione cui tutto il mondo della miscelazione era stato investito.
Questo periodo “buio” del nostro protagonista durò fino agli anni ’90 quando si avvertì l’esigenza di tornare al passato, di riscoprire ricette classiche e di arginare il fenomeno di dilagazione di un bere poco consapevole che per tutti gli anni 90 era stato protagonista; bisognava far tornare la mixology ai fasti del passato, bisognava far tornare il gin al posto che gli competeva, così grazie ai “grandi classici” rispolverati dai grandi barman, e alla spinta propulsiva di una pubblicità volta al bere consapevole, oggi troviamo ancora il gin protagonista come un tempo, anzi, le nuove mode e la “new golden age of cocktail” hanno permesso lo svilupparsi di diversi brand e produttori di gin, un tempo sconosciuti.
PRODUZIONE: il gin è ottenuto partendo da un alcool neutro di cereali quali mais, orzo, segale..ecc… il processo prevede l’aromatizzazione con botaniche spezie ed aromi, che possono essere introdotte per infusione, andando ad inserirle all’interno dell’alambicco durante la distillazione, in tal modo i vapori generati dall’ebollizione dell’alcool neutro si impregneranno degli aromi scelti, e ricadranno dalla punta dell’alambicco per condensazione; oppure per macerazione, lasciando a bagno nell’alcool le botaniche e distillando poi l’alcool aromatizzato ottenuto.
Anche in questo caso la testa e la coda della distillazione vengono eliminate lasciando solo il cuore, più puro e meno pesante. Si procederà poi con l’abbattimento della gradazione alcoolica e l’imbottigliamento.
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