La Tiki Era
Lo sfondo è quello dell’America anni 30 post proibizionismo, Roosvelt era alle prese col New Deal e la speranza di rinascita americana dopo il disastroso “giovedì Nero” del 1929.
Gli Stati Uniti arrivavano da un decennio difficile dal punto di vista sociale, ma bisogna pur dire che dopo la Guerra del 1914-18, si ritrovarono ad essere la prima potenza economica mondiale, raggiungendo livelli di ricchezza maggiori rispetto anche all’Europa.
Così nei decenni successivi agli anni 30 la classe media americana riprese forza economica al punto di potersi permettere viaggi e vacanze fuori dai confini americani, mettendosi alla ricerca di un nuovo stile vita, volto all’evasione dalle grandi città in quanto simbolo del progresso obbligato e forzato; si cercava un’esperienza che si avvicinasse ad una essenza primitiva, una vita a contatto con la natura, una spiritualità antica ed ormai perduta; sicuramente una visione della vita ben lontana da quella industrializzata dell’America di quegli anni.
La miglior risposta a questa ricerca la si trovò alle Hawaai, in Polinesia e sulle coste tropicali in genere, meta preferita degli americani, dove palme, noci di cocco, spiagge da cartolina e donne bellissime dai colori e tratti somatici fuori dai canoni estetici del momento fecero da calamita per chi volesse abbracciare questa nuova moda, conosciuta col nome “tiki”. Una volta tornati dai loro viaggi i turisti portarono con loro stupore ed ammirazione per quel mondo, contribuendo così a generare una visione romanzata della vita su quelle coste, che negli USA erano viste come paradisiache.
Chi permise agli americani di vivere l’essenza dell’era tiki senza uscire dai confini statunitensi fu sicuramente Ernest Raymond Beaumont-Gantt, un giovane della Luisiana che ad Hollywood fondò il “Don the Beachcomber” un bar ristorante dai richiami polinesiani, dove si offriva una cucina cantonese ed esotici drink a base di rum, il locale fu poi nominato Donn Beach, dove pareti, mobili e arredamento in genere offrivano colori sgargianti, decorazioni colorate basate su fiori e piante di ogni tipo, proprio come nella cultura polinesiana.
Alcuni anni dopo Victor Bergeron conosciuto come Trader Vic adottò il tema “TIKI” per il suo ristorante ad Oakland, ed esportò in tutto il mondo questa cultura grazie al crescente successo dell’attività. Il cocktail “MAI TAI” è l’emblema della cultura tiki nel mondo della miscelazione, ed è proprio in queste due catene di ristoranti che si crearono per la prima volta miscele con rum, sciroppi ed aromi homemade, dando il via alle creazioni più fantasiose e visivamente appaganti che il mondo della miscelazione abbia mai conosciuto.
Ben presto l’America fu invasa dal cosiddetto “tiki mood” che si ripercosse su quasi ogni aspetto della vita q uotidiana, si trovavano riferimenti tiki nella moda, nell’architettura, nei primi centri commerciali, nelle case e nei dettagli d’arredamento e persino la musica subì l’onda tiki, immettendo sul mercato tracce dai suoni ancestrali, in cui tamburi, ukulele, suoni di jungla e canti tribali erano protagonisti, questo genere musicale prese il nome di “exotica”.
Va detto che, come spesso accade in America, il tutto venne estremizzato, al punto di perdere di vista la spiritualità e intimità che il termine ha come valore intrinseco, soprattutto se lo immaginiamo legato alle antiche culture delle zone d’origine, mescolandolo con ogni genere di immagine naturale, tribale ed artistica che si potesse ben affiancare a questo ideale, così totem creati al momento, immagini e decorazioni floreali sia di derivazione polinesiana, sia maori, sia africana cominciarono ad invadere gli states senza più controllo.
Ecco che la follia dilagante di questo movimento influenzò anche le star del cinema e della musica del tempo, Elvis Presley per esempio era ossessionato dalla cultura tiki, la sua “Blue Hawaai” era solo un esempio, poi venne la trilogia Hawaiana dei suoi film fino ad arrivare alla kitscheria più grande di Elvis, quella di farsi fare una stanza a tema nella sua abitazione a Graceland. Anche Frank Sinatra e Charlie Chaplin si fecero riprendere spesso durante le loro frequentazioni in locali tiki, sinonimo di quanto l’ondata “tiki” fosse la moda del periodo.
Ma da dove arriva il termine tiki? E cosa significa?
Tutt’oggi non è ben chiaro quale sia il significato del termine, o meglio, ciò che è chiaro è che non possiamo associare al termine tiki un solo significato; c’è chi crede sia il termine cui ci si riferisce per indicare il primo uomo secondo le leggende Maori, altri pensano che il termine sia polinesiano e che si riferisca a statuette rappresentanti umanoidi con dimensioni falliche sproporzionate che le donne mettevano al collo per scongiurare la sterilità; sicuramente il tiki è ben identificato in tutte quelle statue intagliate in osso, legno o pietra che raffigurano uomini stilizzati con grandi volti di divinità.
La tiki era sfociò poi nella pop-exotica americana, che si protrasse fino agli anni 60, scomparendo velocemente come era arrivata e lasciando spazio all’avvento dell’era Hippie, dove i giovani aderenti al movimento predicavano i valori sottoculturali della Beat Generation, facevano uso di stupefacenti ed utilizzavano la cannabis con lo scopo di allargare ed esplorare il loro stato di coscienza. A questo va aggiunto anche che gli USA erano scesi in campo nella guerra del Vietnam, così, l’opinione pubblica fu costretta ad accantonare la visione celestiale ed evocativa che il tiki portava con se per prendere consapevolezza di come le cose stavano cambiando, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista politico. Il resto è storia recente…
Sia come sia, il termine tiki ancora oggi è evocativo di spiagge, drink, mare sole e donne in bikini che sculettano al ritmo della jungle music, exotica, brasiliana e chi più ne ha più ne metta; sicuramente il periodo culturalmente più kitsch che la miscelazione abbia conosciuto, ma forse proprio per questo ha fatto scuola ed ancora oggi, a dispetto dei suoi 70 anni e passa di età, tra alti e bassi, il tiki vive e sopravvivrà ancora!
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