La Torino dei Savoia
Roma la capitale d’Italia di fatto, Milano la capitale italiana dell’economia, ma un tempo Torino ha avuto la sua importanza ed è stata anch’essa capitale o, per meglio dire, la prima capitale dell’Italia moderna.
Tutto inizia nel 1563, quando i Savoia fanno della città piemontese il centro del ducato Sabaudo ( divenuto poi Regno di Sardegna nel 1847 ). Giungono qui in questo periodo i migliori architetti del tempo, nomi come Ascanio Vitozzi, Amedeo e Carlo di Castellamonte, Guarino Guarini, Filippo Juvarra. Grazie al loro genio creativo, ed allo stile Barocco, Torino diventa uno dei maggiori centri economici, culturali e sociali d’Italia, la Torino dei Savoia.
Dopo la parentesi napoleonica durante la quale il Ducato fu annesso di fatto alla Francia, con il ritorno dei Savoia nel 1814 Torino diventa la culla, il punto di forza e di riferimento del Risorgimento, acquisendo una nuova identità, quella di una grande città europea.
Nel 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, Torino ne diventa la capitale, e resterà tale fino al 1865 quando la capitale verrà una prima volta trasferita a Firenze e quindi a Roma nel 1871. Torino quindi ha l’onore di essere stata la prima Capitale moderna del Regno d’Italia.
Col tempo arrivano la ferrovia e il gas illuminante, si formano una classe imprenditoriale e una manodopera industriale, si modernizzano l’università e la ricerca scientifica, si estende l’istruzione primaria, nascono nuove istituzioni culturali, sociali ed assistenziali, cambiano i costumi e sorgono nuove forme associative. Torino alla fine dell’800 assume un ruolo ed un’ immagine che segnerà tutto il secolo scorso.
Oggi nella Torino che fu dei Savoia ci sono 5 edifici risorgimentali che sono diventati patrimonio dell’Unesco, si tratta di Palazzo Madama, Palazzo Carignano, Castello del Valentino e Villa della Regina.
Ma torniamo nel 1814, quando i torinesi erano festanti, assiepati ma ordinatissimi, circondati da una città che Vittorio Emanuele non riconosceva: una grande esplanade ricca di verde, di vasti spazi da edificare, una città aperta e non più rinserrata contro possibili invasori.
In particolare, si parla della partenza dei francesi come un momento di festa e dell’arrivo di Vittorio Emanuele come una benedizione; sicuramente in un momento storico così felice il popolo torinese avrà festeggiato e brindato alla liberazione.
Ma come si brindava nella Torino risorgimentale?
La socialità dei ceti più elevati era vissuta nei teatri, nei salotti, nei circoli e nei caffè, e nello specifico questi ultimi assunsero a Torino una spiccata caratterizzazione come luoghi di lettura della stampa internazionale e di libera discussione politica.
I torinesi amavano bere il vino, tant’è che nel 1863 il Museo Civico di Torino apre un mercato del vino, nella sede di via Gaudenzio Ferrari in dodici sale al primo piano del fabbricato. Ovviamente oltre ai caffè erano famose le numerose osterie, le cantine e le mescite di vino per lo più collocate sottoterra.
I vini durante i pasti erano generosi e abbondanti; i nomi più noti sono l’Astigiano e il Monferrato, poi il Barolo, il Barbera, il Canelli, il Nebbiolo, il Grignolino, che sono vini classici che gareggiano alla pari coi più celebrati vini del Reno, del Tago e della Garonna.
Mentre come assaggio tra una portata e l’altra si usava consumare il Vermouth, una bevanda molto in uso, composta dal 75% di vino, dolcificato ed aromatizzato con un’infusione alcolica composta da varie piante aromatiche, principalmente l’assenzio, che stuzzicava l’appetito e non bruciava le viscere come i liquori spiritosi, si beveva a bicchierini ed era disponibile nella versione rossa, rosé o bianca. L’aperitivo per i torinesi era un rito al quale era difficile sfuggire, all’ora di pranzo e prima della cena, quando anche le persone più indaffarate si concedevano una pausa.
Dopo i pasti, come digestivo, si usava bere (oltre al Vermouth) il Bicerin, una specie di eccellente bevanda composta da caffè, latte e cioccolata, che si serviva in tutti i caffè a un prezzo relativamente basso.
Cristina Giacomini, Redazione ITB
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