Il Vermouth
Parliamo ora di un prodotto importantissimo per la miscelazione nonostante non sia un distillato, il vermouth, uno stupendo vino italiano famoso in tutto il mondo.
Il vermouth (o Vermut in italiano) è un vino liquoroso fortificato che si ottiene da una base vinosa (almeno il 75% del prodotto finito), solitamente da uve di Trebbiano o di Moscato, con l’aggiunta di spezie e botaniche la cui principale risulta essere l’Artemisia Absithium; altre piante presenti sono solitamente Camedio, Cardo, Issopo, Melissa, Maggiorana, Timo, Salvia, Luppolo, Sambuco, Anice stellato, Angelica, Finocchio, Genziana, Zenzero, cortecce ecc..ecc… .
Il Vermouth si presenta Bianco, Rosso o Rosè, ha un grado alcolico di almeno 14,5° nonostante prima del 2008 il tenore alcolico non era inferiore ai 16°, 18° nel caso degli extra dry; un disegno di legge è al vaglio delle autorità competenti affinchè si riporti il grado alla suddetta soglia.
Ha una componente variabile di zucchero a seconda della tipologia di prodotto, ma mai superiore al 14% del prodotto finito; la colorazione in Rosè è data dalla commistione tra vino bianco e vino rosso, mentre per il vermouth rosso generalmente si usa vino bianco colorato successivamente con caramello, nonostante il disciplinare non vieti l’utilizzo di vini rossi come base di partenza.
UN PO DI STORIA
Se pensiamo al vermut come vino aromatizzato e fortificato allora il salto indietro nel tempo è assai lungo, risalendo fino all’era pre Cristiana arrivando fin nell’antica Grecia dove, si narra, Ippocrate (Coo, 460 a.C. – Larissa, 377 a.C.) era solito miscelare il vino con altre sostanze, perlopiù piante officinali, spezie e miele; cosa che si diffuse anche nella Roma antica e che divenne un’abitudine sociale quando dall’oriente cominciarono ad arrivare ingenti carichi di spezie tra le quali cannella, noce moscata, rabarbaro e china che venivano spesso addizionate ai fermentati d’uva in uso a quel tempo.
Nel 1557 viene stampato il “de SECRETI” di Alessio Piemontese, libro diffusosi al tempo come raccolta di rimedi e cure per ogni genere di male, un insieme di “ricette” a cavallo tra la stregoneria e la medicina popolare, che divenne assai famoso in Europa e nel quale il Piemontese scriveva spesso di vino aromatizzato e fortificato come “base di lavoro” per la produzione dei rimedi tanto bramati dalle genti.
Se analizziamo invece il vermot (nell’accezione torinese) con occhio semantico allora la nostra ideale macchina del tempo si ferma attorno al 1600 in Germania, dove si cominciò a mettere in infusione nei vini radici ed erbe, tra cui predominava l’artemisia Absinthium, o assenzio maggiore, reso in tedesco col temine WERMUTH. Ma diciamolo chiaramente e con orgoglio, il vermut come lo conosciamo oggi è un prodotto italianissimo!! Il primo “contatto” che abbiamo con un vino aromatizzato con assenzio e fortificato con spezie è col libro “Oenologia Toscana” di Cosimo Villifranchi, medico e botanico fiorentino che riportava nella sua opera oltre ai vini toscani anche quelli fortificati, anche se ben distanti dall’idea di vermouth che abbiamo oggi, in quanto privi completamente di zucchero.
Il merito della creazione del primo Vermouth va ad Antonio Benedetto Carpano che nel 1786, presso una liquoreria di Piazza Castello di Torino (l’allora Piazza della Fiera) mise a punto una ricetta a base di vino moscato di Canelli al quale aggiunse erbe e spezie, adottando metodologie e conoscenze tradizionali dei monaci biellesi, città di cui Carpano era originario. Il successo fu tale che la liquoreria della piazza divenne il locale più frequentato di Torino, ma non solo, il “vino di lusso”, come riportavano i vocabolari di inizio ‘900 sotto il termine vermut, fu apprezzato anche a corte dal sovrano Vittorio Amedeo III che decise di sospendere la produzione cortigiana del rosolio che era solito bere, per sostituirlo col vermut di Carpano, più aromatico e dal gusto tutto particolare; inoltre il nome di origine tedesca scelta da Carpano venne accettato di buon grado dalla casa sabauda che teneva molto a sottolineare l’origine sassone dei propri avi.
Essendo un prodotto a base di vino, di cui anche i cugini francesi potevano vantare un virtuosa fattura, ecco che anche oltr’Alpe si intraprese la strada della produzione di vermouth, in questo caso i vini usati erano quelli ottenuti dalle uve ugni Blanc (il vitigno Trebbiano in Italia) che donava note più secche ed amaricanti rispetto a quello piemontese, ben presto la produzione si differenziò in entrambi i paesi e si cominciarono a produrre le varianti bianche e rosate, quest’ultima in particolare è peculiarità italiana ed è l’unico caso in enologia in cui è ammesso il blend tra vino bianco e rosso per ottenere il colore rosè.
PRODUZIONE
Creare un vermouth è a parole un gioco abbastanza semplice, basta prendere un buon vino di partenza, addizionare erbe e spezie, lasciare in infusione per qualche tempo il tutto, filtrare, servire ed il gioco è fatto! Ma come spesso accade, a parole tutto è facile, perché come possiamo sapere quante e quali spezie o botaniche inserire nell’infusione? Quali hanno un maggiore rilascio di sostanze organolettiche? E quali, se miscelate con altre generano note sgradevoli se non addirittura si annullano? Per quanto tempo il vermouth deve riposare? Ecco che quando ci poniamo queste domande viene a galla il problema della produzione di un vermouth. Per miscelare erbe e spezie ci vuole sapienza, conoscenza dei prodotti e molta pazienza.
Non a caso tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 diverse decine di trattati contenenti varie ricette di produzione furono scritti, alcune ancora oggi in mano alle grandi case produttrici, altre sono andate perse ed altre ancora non hanno incontrato i gusti moderni. C’è inoltre grande segretezza sulle varietà di spezie ed erbe usate dai produttori, sulle tempistiche di infusione e sulle proporzioni di miscelazione; basti pensare che una grande casa come Carpano affida il segreto della produzione a tre o quattro individui, ciascuno dei quali sa come operare nel proprio settore produttivo, senza sapere come viene svolto il lavoro precedente e quello successivo.
Questo serve per garantire segretezza ed uniformità di prodotto, soprattutto nel caso di un Vermouth storico quale è Carpano.
In tutti i casi produttivi bisogna precisare che le materie prime devono essere di qualità eccelsa, a partire dal vino scelto arrivando alle erbe e passando per le spezie, nonostante oggi sia ammessa una produzione di alcuni Vermouth con “basi” già pronte per garantire un buon prodotto finale, al quale le aziende aggiungono qualche ingrediente peculiare per distinguersi sul mercato. Va da sé che il consumatore deve sempre stare molto attento a scegliere il prodotto, leggendo accuratamente le etichette e scegliendo il prodotto adatto al suo scopo, sia esso un barman o un privato.
Altro aspetto fondamentale da affrontare quando si parla di Vermouth è relativo alla sua conservazione, infatti essendo un vino è fotosensibile e soggetto ad ossidazione, pertanto le bottiglie andrebbero tenute in ambienti chiusi ed una volta aperte conservate in frigorifero con appositi tappi. Inutile dire che il profilo organolettico cambierà col passare del tempo mantenendo comunque una persistenza aromatica superiore a quella dei vini, essendo il vermouth un prodotto artigianale ed i botanicals utilizzati sono del tutto naturali grazie al divieto imposto dal disciplinare di utilizzare aromi sintetici.
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